Superando i limiti della mia educazione per mia figlia

A gennaio 2022 sono diventato papà, alle soglie dei miei 38 anni. Sono un genitore “vecchio”. Sul perché abbiamo aspettato di essere così “maturi” per avere figli si inserisce un complesso discorso di possibilità economiche, aspettative di carriera e preparazione alla genitorialità. E non è il punto di questa riflessione, quindi potrei riprenderla più avanti.

L'egoismo di procreare in un mondo al collasso

Quello che intendo con “vecchio” non è solo la differenza di età e inevitabilmente generazionale tra noi e nostra figlia, quanto un problema culturale. Mia moglie ed io siamo figli del ventesimo secolo, inutile girarci intorno. Siamo cresciuti e siamo stati formati in un'epoca diversa e meno accelerata di quella contemporanea, con valori diversi (e non necessariamente migliori).

Siamo due persone colte e intelligenti, che amano mettersi in discussione e crescere (soprattutto insieme, se possibile). Quindi è naturale che molte convinzioni con cui siamo cresciuti siano state scardinate dall'esperienza e dal confronto con le varie realtà di questo mondo multiforme.

A dirla veramente tutta, lo confesso candidamente, io ho a lungo rimuginato se voler essere padre. Per primo per questioni pragmatiche ed egoistiche: “Come cresceremo della prole con le vite che facciamo? Siamo due consulenti informatici in un mondo lavorativo folle, facciamo degli orari assurdi... dove la lasceremo? Chi la crescerà? Non voglio essere un papà di 'carta', che senso ha così?”. Per secondo, una considerazione di ordine filosofico/esistenziale: “Questo mondo va verso il collasso ecologico. C'è rabbia e violenza in ogni dove. In che mondo voglio far nascere dei figli? Che diritto ho di far nascere delle creature in un mondo simile e lasciar loro affrontare un'epoca così buia?”.

Ovviamente la prima si è risolta parzialmente con una congiuntura globale favorevole (pandemia/lavoro remoto) e con la volontà (ricalibrazione degli impegni, ricerca di mansioni più adattabili).

La seconda mi preme ancora e mi duole nel petto. Procreare è un atto profondamente egoista. Facciamo figli per noi, non certo per loro. Una volta messi al mondo ne abbiamo la totale responsabilità, sia di accudirli che di crescerli (e distinguo i due atti apposta).

Quindi, come dicevo, sono diventato papà di un'allegra, caparbia e stupenda bambina che ha compiuto da poco due anni. E mi si sono accese in testa molte lampadine, ho dovuto mettere in discussione molti miei preconcetti e convinzioni. Soprattutto, ho dovuto scendere a patti che non ero quell'essere umano “illuminato” che credevo di essere.

Cercherò di eviscerare un po' di considerazioni.

L'educazione di uno xennial

Anagraficamente non sono xennial per un anno, ma culturalmente lo sono parecchio. I miei genitori sono boomer nel senso anagrafico del termine, nati alla fine degli anni '40. Mio fratello maggiore è nato all'inizio degli anni '70.

Sono cresciuto in una famiglia di adulti, con valori e convinzioni di metà Novecento.

Voglio essere chiaro: ci sono stati trasmessi i valori di parità tra i sessi, corresponsabilità di gestire/crescere una famiglia e in generale valori molto progressisti sia a livello sociale che politico.

Ma guardiamo il mio modello famigliare. Sottolineerò volutamente il negativo, non pensiate che non ci fossero lati positivi, ma non sono cogenti per questa riflessione:

  1. papà lavoratore (e in un certo senso carrierista)
    • giacca e cravatta anche in pieno agosto
    • “cosa sono quei capelli lunghi”, quando a diciotto anni decisi di farmeli crescere fino alle natiche
    • “però potresti metterti la cravatta per l'X evento, no?”
    • sfottò e umiliazione quando non ti dimostri all'altezza del suo “altissimo sapere” (espressione mia, in realtà poi molto limitato)
  2. mamma casalinga (per convinzione, ma non cambia la sostanza):
    • gestione della casa e dell'economia domestica (che termine orribile)
    • pasti pronti a qualsiasi ora
    • accudimento dei figli, compresa la gestione delle loro attività curriculari ed extra
  3. fratello maggiore di 12 anni:
    • cresciuto rigidamente con esempi educativi già vecchi di trent'anni
    • severo, sempre pronto alla critica, un “secondo papà”
    • sfottò e umiliazione quando non ti dimostri all'altezza del suo “altissimo sapere” (espressione mia, in realtà poi molto limitato)

Non fraintendetemi, vi prego. Sono cresciuto felice in una famiglia amorevole. Ma qui il mio scopo è sottolineare come certi schemi vengono interiorizzati senza neanche che ce ne rendiamo conto...

Il ruolo di “uomo” che mi è stato insegnato

L'uomo “cavaliere” che è galante, paga il conto del ristorante, apre la portiera dell'auto, etc. etc. Ma anche che è “maschio”, si prende cura della propria compagna (come se fosse inetta a farlo, anche se questo è un non-detto), non mostra la propria debolezza emotiva o la propria ignoranza.

Non mi è mai stato detto “non fare la femminuccia” (se non dai miei nonni, ci torno), ma io la pressione di non essere troppo emotivo l'ho sempre sentita, se non da pressioni endogene alla famiglia almeno senz'altro da quelle culturali della società.

Sulla questione “ignoranza”, io non so se è una qualche mal risposta insicurezza tramandata di generazione in generazione ma lo schema familiare qui è: se è qualcosa di cultura generale che dovresti sapere al tuo livello di istruzione e non lo sai vieni prima interrogato di terzo grado, poi quando mostri il fianco vieni deriso perché non lo sai. Ho impiegato tantissimo a ripulirmi da questo schema e ahimè, ogni tanto ci casco ancora.

Un aneddoto sui nonni. Anche qui vorrei essere chiaro, li ricordo con tanto affetto, erano delle belle persone, ma nate e cresciute con valori Ottocenteschi. Quando avevo circa sei anni mi affezionai a un bambolotto che conservava la nonna paterna. Non avendo cuore di separarmene me lo regalò.

Poi quell'estate andammo a trovare gli altri nonni, i genitori di mamma. Appena videro quanto ero inseparabile da una bambola... orrore! “I maschietti non giocano con le bambole” e tutta la tiritera. Cosa provarono a offrirmi in cambio? Quell'orribile “coso” che fu la mascotte di Italia '90. Vedete, qui lo schema era chiaro: il maschietto gioca e si interessa di sport, soprattutto calcio (mai fregato nulla a me di quello sport), non gioca con le bambole... oh, guarda che tuo nonno andava a caccia nei boschi e ha combattuto come partigiano, vedi cosa fa un maschio?

Essere padre di una bimba nel 2024

Da quando è nata mia figlia alcune mie paure sono diventate molto concrete. Prima erano metafisiche, un po' astratte. Ma ogni giorno il notiziario ci ricorda quanto questa cultura in cui siamo immersi è inadatta a crescere delle giovani donne. E non mi riferisco solo al fronte dei femminicidi (che sarebbe già di per sé allarmante), ma di tutta la sequenza di fatti e dati che ci sbattono in faccia, dall'occupazione femminile, alle discriminazioni, alla differenza salariale, etc.

Io ho sempre vissuto in una bolla felice in cui mia moglie e io siamo completamente alla pari dentro casa e fuori lei è addirittura più “realizzata” di me (che termine orribile), a livello salariale e di mansioni.

Per questo, il confronto con la dura realtà “là fuori” ci ha messo in ansia sin dalla nascita di nostra figlia. Ansia per lei ovviamente. Ma non solo. E non sto parlando solo dei TG e delle notizie (a volte costruite allarmisticamente a bella posta).

Parlo dei ruoli supposti che dovremmo coprire nella nostra società e con cui non eravamo pronti a fare i conti:

  1. Io papà, con un congedo ridicolo di 10 giorni, tante pacche e sorrisi e un bel “allora quando mi consegni l'X scadenza di progetto?”. Senza tenere conto che non solo hai una creaturina da accudire, con tutto ciò che comporta in termini di impegno e stanchezza, ma anche una compagna che ha subito un cambiamento fisico devastante con un mare di ormoni ed emozioni che le circolano in corpo. E che non puoi capire del tutto, anche se lo vuoi. E questo ti porta ad altra frustrazione.
  2. Lei mamma, assoggettata a tutti i preconcetti sul ruolo di madre, annientata emotivamente dalla violenza ostetrica (non se ne parla abbastanza, forse ci tornerò altrove), che si sente inadeguata e fragile, con una ferita (parto cesareo) da far guarire e una creaturina che dipende da lei per il sostentamento ma che rifiuta il seno. E gli altri che la giudicano per “incapacità” sia di sostentare che di affrontare tutta questa tempesta con assertività e forza emotiva.

Fallimenti personali

Come dicevo, io ho sempre pensato di essere “avanti”. Progressista, aperto allo scambio, al mettermi in discussione, all'imparare e correggermi. Dedito agli studi e alle pratiche filosofiche concrete (taoismo, stoicismo, yoga). Cosmopolita. Non oso dire femminista, ma sì nella sostanza.

Solo che io sono nato e cresciuto non solo in una cultura patriarcale, ma anche in una famiglia “vecchio stampo” con valori e codici di comportamento di un altro secolo. Ed è facilissimo ricadere nelle abitudini interiorizzate:

Rompere il cerchio

Sto cercando di “rompere il cerchio”, sia rendendomi consapevole di tutti questi piccoli gesti che sono miei solo perché appresi, ma in conflitto con il mio essere, che tentando strade diverse nell'accompagnare mia figlia all'età adulta:

E potrei continuare, ma uscirei dal seminato.

Ma l'intelligenza emotiva?

Io credo che quello che manchi davvero nel modo in cui formiamo la nostra prole è l'educazione non nozionistica, non sentimentale (che è solo una componente), ma all'educazione emotiva. Stiamo crescendo, tutti noi come società, tutti dei piccoli sociopatici incapaci non solo di relazionarsi ma di provare empatia.

Qui non posso che dire: fate un lavoro doloroso, lungo, continuo e senza fine di consapevolezza di voi stessi. Non date per scontato quello che avete imparato e interiorizzato sulle aspettative su di voi e sui ruoli che dovete ricoprire. Lo dico nel modo più umile possibile, senza salire sul piedistallo. Io fallisco e ci riprovo ogni giorno. Non si guarisce se non c'è l'intenzione.

E trasmettete questo valore ai vostri figli. Quello dell'apprendimento continuo, dell'ascolto e dell'empatia. Del vivere insieme agli altri in modo non-giudicante. E se chiedono “perché il prato è verde?” non rispondetegli “e perché di che colore dovrebbe essere?” per mascherare la vostra stessa ignoranza. “Non lo so, scopriamolo insieme” è una risposta del tutto accettabile, sapete?


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