Giappone, slice of life e stagioni

Sto leggendo un po' di narrativa giapponese “leggera”.

Sapete, roba dalle parti di Banana Yoshimoto per intenderci. Un'autrice che non leggo da più di vent'anni, che ha esaurito ogni argomento e attrattiva per me, anche se Kitchen resta comunque tra i miei libri preferiti.

Intendiamoci, non è che tutta la narrativa giapponese abbia quel gusto. Questo è un fraintendimento causato dalla predilezione di certi editori di pubblicare solo gli autori che propongo “il tipico sapore giapponese”, espressione che di per sé è svuotata di qualsiasi senso. Perché sapete... il Giappone è una Paese millenario, con sfaccettature molteplici che ovviamente si riversano nella sua letteratura/narrativa. Ce n'è davvero per tutti i gusti.

Qui da noi c'è un po' questa convinzione che “Giappone = storie delicate”, con i passetti sui tatami e le liceali ingenue che arrossiscono alla prima cotta del liceo.

Ma non ho alcuna intenzione di scardinare gli stereotipi, sarebbe una mossa ipocrita, dato che io stesso mi trovo a cercare qualcosa di “tipicamente giapponese” per assorbire una certa atmosfera. Che in qualche modo è veicolata dal loro modo di scrivere e presentare le storie, ma che in larga parte è una mia (nostra?) reinterpretazione all'occidentale. È una forma di orientalismo, inutile negarlo.

Comunque, venendo al punto: in questi giorni ho letto “I miei giorni alla libreria Morisaki” di Satoshi Yagisawa e quel “sapore delicato” l'ho trovato eccome. L'ho proprio cercato e gustato. Ne avevo bisogno per sbloccarmi, come lettore, da un lungo torpore che non sopportavo più.

Non ho molto da dire sul libro in sé, è una storia comune di una ragazza che ritrova sé stessa e il controllo della sua vita grazie al rifugio offerto dallo zio nella libreria di famiglia.

Quello che mi ha scatenato, a parte le vibrazioni positive, è una riflessione su un gioco di ruolo che sto scrivendo da qualche mese e sul quale non ho ancora risolto molti punti fondamentali. Il GDR è pensato per emulare gli “slice of life” giapponesi. Di cui questo libro fa parte.

Ed ecco che lì, mentre leggo della protagonista che ascolta il ticchettio della pioggia nel suo appartamento sopra la libreria... zot, un'epifania. Nel mio gioco manca completamente il “kigo”, una figura retorica tipica della poesia giapponese, ma che a mio avviso permea molte opere non poetica, usata per rappresentare la stagione in cui si svolge.

Che sciocco... che stupido... Uno dei punti fondamentali degli “spaccati di vita” è il loro essere ambientati in una stagionalità, il fatto che gli eventi prendano le mosse anche dal loro essere ambientati in una certa stagione. Non avrebbe senso “giocare” un Obon senza yukata e lanterne.

Ok, appunto mentale preso... mi sa che Sonata Synchronicity andrà riscritto ulteriomente


Questo blog è pubblicato con licenza CC BY-SA-4.0