Cyberpunk: la profezia autoavverante che ha plasmato la nostra realtà
Quando William Gibson pubblicò Neuromante nel 1984, immaginò un futuro distopico di megacorporazioni dominanti, cyberspazio e disuguaglianze estreme. Quarant'anni dopo, quella visione non sembra più fantascienza, ma una descrizione sorprendentemente accurata della nostra realtà. Il cyberpunk non ha solo previsto il futuro: lo ha creato, funzionando come una vera e propria profezia autoavverante.
Il cyberpunk come avvertimento ignorato
Il genere cyberpunk nacque negli anni '80 come letteratura di protesta, un grido d'allarme contro un futuro in cui la tecnologia avrebbe amplificato le ingiustizie sociali piuttosto che risolverle. Il critico culturale Fredric Jameson lo definì “la suprema espressione letteraria del capitalismo tardivo”, riconoscendone il potere profetico.
Il mondo immaginato dal cyberpunk si caratterizzava per l'arretramento dello stato a favore delle grandi corporazioni, una società ipertecnologizzata, l'intelligenza artificiale, la predominanza del cyberspazio, l'aumento delle disuguaglianze e il deterioramento delle condizioni di vita. Come nota lo scrittore Luis Carlos Barragán: “È come se il cyberpunk non fosse emerso negli anni '80 come una distopia da evitare, ma come un piano perverso che dovevamo completare”.
L'estetica che seduce Silicon Valley
Il paradosso del cyberpunk risiede nel fatto che, nonostante fosse concepito come un avvertimento, la sua estetica seducente ha finito per ispirare proprio coloro che dovevano incarnare i “cattivi” delle sue narrazioni. I miliardari della Silicon Valley hanno trasformato le distopie cyberpunk in roadmap aziendali.
Mark Zuckerberg famosamente fa leggere Snow Crash a tutti i suoi dipendenti. Non sorprende quindi che nel 2014 Facebook abbia speso 2 miliardi di dollari per acquisire Oculus VR, compiendo un passo concreto verso la realizzazione del Metaverso immaginato da Neal Stephenson. Il rebranding di Facebook in “Meta” nel 2021 non è stato solo un cambio di logo, ma l'invocazione diretta di un romanzo cyberpunk in cui le corporazioni sostituiscono i governi in una distopia virtuale.
La tecnologia cyberpunk diventa realtà
Le influenze del cyberpunk nella tecnologia contemporanea sono evidenti e pervasive. Google ha chiamato i suoi dispositivi Nexus in omaggio ai replicanti di Blade Runner. L'intera filosofia di design di Apple riflette l'estetica cyberpunk: elegante, sexy, argentato e di vetro, l'iPhone X è letteralmente un “telefono da samurai di strada”.
I prodotti di realtà aumentata come Google Glass, Snap di Snapchat, ARKit di Apple e Magic Leaprappresentano tentativi di materializzare gli occhi specchiati di Molly Millions, fondendo il virtuale con il reale. Gli assistenti virtuali che sussurrano attraverso auricolari wireless, i test genetici consumer, le app di traduzione in tempo reale, i reti ferroviarie ad alta velocità come l'Hyperloop, le retine artificiali e gli impianti cocleari – tutto questo ha equivalenti diretti nel cyberpunk.
L'ironia centrale: i cyberpunk sono diventati le megacorp
L'ironia più amara è che i veri cyberpunk – quella “prima generazione di teenager cresciuti parlando davvero computer” – non sono cresciuti per combattere le megacorp, ma le hanno fondate. Elon Musk con la sua ossessione per la colonizzazione di Marte ispirata alla serie Foundation di Asimov e Jeff Bezos con i suoi progetti di habitat spaziali ispirati alle visioni tecno-utopiche degli anni '70 incarnano perfettamente questo paradosso.
Il Cybertruck di Tesla è stato modellato sull'estetica retrofuturistica di Blade Runner, ma privato della sua critica originale al potere corporativo. Quello che era nato come avvertimento distopico è stato riconfezionato come spettacolo di innovazione e sfida.
La profezia autoavverante in azione
Come osserva la designer Freyja Sewell, “la nostra ossessione collettiva per le narrazioni cyberpunk rischia di trasformare le visioni distopiche dell'AI in una profezia autoavverante”. Se tutti credono che il futuro sia distopico, questo potrebbe spingerci a renderlo tale?
La risposta sembra affermativa. Viviamo in un mondo dove il carbonio è a livelli mai visti in 800.000 anni, non così distante dalla visione di Blade Runner di un pianeta in totale catastrofe ambientale. Le persone aspirano a vivere in appartamenti delle dimensioni di una bara perché le nostre città sono sovraffollate, non molto diversamente dai container che abitano gli eroi di Ready Player One o Snow Crash.
Il desiderio inconscio per la distopia
Il fascino estetico del cyberpunk ha creato quello che potremmo chiamare un “desiderio inconscio” per quel tipo di futuro. Come nota Sewell: “È come se fossimo tutti bloccati nell'idea di futuro dei nostri nonni”. Le estetiche giovanili contemporanee adottano look futuristici con abbigliamento fluorescente, metallico e capelli colorati – chiare ispirazioni dal cyberpunk che ci dicono come dovrebbe apparire il futuro.
Il problema è che “il sistema si è installato nelle nostre menti e opera da lì”, come osserva Barragán. “Non c'è differenza con il cyberpunk”.
Le conseguenze della profezia realizzata
Le implicazioni di questa profezia autoavverante vanno oltre l'estetica. Quando leader tecnologici come Sam Altman di OpenAI propone governance guidata dall'AI o investitori tech promuovono “stati di rete” che operano al di fuori degli stati nazionali tradizionali, non stanno innovando, ma rivivendo il vecchio sogno di sostituire le democrazie complicate con il dominio corporativo semplificato.
Il Techno-Optimist Manifesto di Marc Andreessen del 2023 presenta la disruption tecnologica non regolamentata come un bene indiscutibile, rifiutando esplicitamente quella che vede come le “forze della stagnazione” – regolamentazione, cautela e critica sociale.
Rivendicare il futuro
La battaglia sul futuro è anche una battaglia su quali narrazioni di fantascienza ottengono il diritto di materializzarsi. Come suggerisce Sewell, piuttosto che rimanere intrappolati nelle visioni cyberpunk, dovremmo esplorare alternative come le “astronavi viventi e morbide” di Octavia Butler o i “mondi alieni che cambiano genere” di Ursula Le Guin.
La critica non è al cyberpunk come genere letterario – che rimane “brillante” e “merita il suo posto critico nella storia della fantascienza” – ma alla sua riduzione a una sola conversazione monopolizzata da un piccolo gruppo di persone che definisce tutti i nostri futuri.
Il cyberpunk ci ha mostrato che la fantascienza non è solo intrattenimento, ma serve come catalizzatore per lo sviluppo delle tecnologie che descrive. Ora tocca a noi scegliere consapevolmente quale futuro vogliamo materializzare, prima che la profezia completi il suo corso autodistruttivo.
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