Ascesa e caduta di Facebook: enshittification, algoritmi e cyberbulli

Ci sono cascato di nuovo: ho risposto a un post di un'altra persona su Facebook e ne ho sofferto subito gli effetti: aggressione verbale, diverbio, impossibilità di arrivare a un terreno comune di dialogo e mio ritiro nel silenzio a macinare l'ennesimo boccone amaro tremando come una foglia...

Era il 2004 quando Facebook irruppe sulla scena, un brillante nuovo mondo virtuale che prometteva di connettere le persone come mai prima d'ora. Fondata da Mark Zuckerberg, inizialmente come un esclusivo network per studenti di Harvard, si espanse velocemente per diventare un fenomeno globale. Nelle sue fasi iniziali, Facebook era una sorta di piazza virtuale, un luogo dove amici, familiari e conoscenti potevano condividere e interagire in un ambiente apparentemente sicuro e accogliente.

Tuttavia, negli ultimi anni, l'esperienza su Facebook è cambiata drasticamente. Da una piattaforma che celebrava la condivisione e il collegamento, si è trasformata in un labirinto di narcisismo, disinformazione e polarizzazione. La piattaforma che una volta era vista come un modo per mantenere i legami e costruire nuove connessioni, ora sembra essere diventata un campo minato, dove ogni interazione può trasformarsi in una guerra di parole e dove la verità è spesso sacrificata sull'altare degli interessi personali o politici.

Nei prossimi paragrafi condividerò la mia esperienza personale e le osservazioni sulle trasformazioni di Facebook. Rifletterò su come la mia interazione con la piattaforma sia cambiata, passando dalla semplicità e genuinità iniziali a un ambiente dominato da pubblicità invadente, disinformazione diffusa, echi ideologici e un marcato aumento di comportamenti narcisistici e prevaricatori. Questa è la storia del mio viaggio attraverso l'evoluzione di Facebook e dell'impatto che ha avuto sulla mia percezione del mondo digitale e sociale.

L'alba di Facebook: la promessa di connessione globale

Ricordo ancora l'entusiasmo nei primi mesi di uso di Facebook. La missione dichiarata era audace e semplice allo stesso tempo: collegare il mondo. E, all'inizio, sembrava proprio che Facebook stesse realizzando questa promessa. Era un luogo dove potevo ritrovare vecchi amici, condividere momenti di vita e sentirsi parte di una comunità globale.

In quei giorni, Facebook sembrava più un'estensione della mia vita sociale reale piuttosto che un sostituto. Le interazioni erano più autentiche. Potevo condividere foto delle mie vacanze, commentare gli aggiornamenti di stato degli amici, e ci si sentiva genuinamente connessi. C'era un senso di novità e di entusiasmo nell'aria: ogni giorno, nuove persone si univano, e il mondo sembrava un po' più piccolo, un po' più amichevole.

Questo periodo iniziale di Facebook era caratterizzato da una sensazione di scoperta e di costruzione collettiva. Non solo stavamo esplorando un nuovo territorio digitale, ma lo stavamo anche plasmando con le nostre interazioni. C'era un senso di proprietà e partecipazione che trascendeva la semplice presenza online. Eravamo parte di qualcosa che sembrava realmente avere il potere di cambiare il mondo, unendo le persone al di là delle barriere geografiche e culturali.

Ma, come spesso accade con le grandi promesse, ci fu un rovescio della medaglia. La piattaforma che una volta sembrava essere un'utopia digitale, iniziò a mostrare i primi segni di quello che sarebbe diventato il suo lato oscuro.

L'inizio del cambiamento: enshittification e l'invasione pubblicitaria

Poi, quasi senza che me ne accorgessi, iniziò il cambiamento. Ho cominciato a notare un aumento progressivo della pubblicità. Ogni volta che aprivo Facebook, mi trovavo di fronte a un mare di annunci, mirati con una precisione inquietante. Era chiaro: la piattaforma che una volta sembrava concentrarsi sul connettere le persone, ora aveva spostato la sua attenzione verso il profitto.

Questo è ciò che Cory Doctorow definisce enshittification. Un termine che cattura perfettamente la trasformazione graduale da una piattaforma incentrata sull'utente a un ecosistema dominato dagli interessi commerciali. E non era solo la pubblicità. Gli algoritmi di Facebook iniziarono a cambiare, influenzando ciò che vedevo nel mio feed. Non erano più gli aggiornamenti degli amici o le storie che mi interessavano di più; invece, erano i post che generavano più interazioni, spesso quelli più controversi o divisivi.

Ogni volta che mi connettevo, mi venivano mostrati contenuti che spingevano alla reazione più che alla riflessione. Le discussioni autentiche e significative erano sempre più rare, soppiantate da post progettati per catturare l'attenzione e generare click. Era come se la qualità dell'interazione fosse stata sacrificata sull'altare degli interessi pubblicitari.

La sottile linea tra contenuto genuino e contenuto sponsorizzato divenne sempre più sfumata. Gli annunci non erano solo invadenti; erano mascherati da post normali, rendendo difficile distinguere tra ciò che era reale e ciò che era promozionale. Questa invasione pubblicitaria trasformò la mia esperienza su Facebook da un piacevole ritrovo sociale a un incessante bombardamento commerciale.

In questo contesto, Facebook perse il suo senso di comunità e di connessione autentica. Non era più il luogo dove condividere momenti di vita; era diventato un mercato dove l'attenzione dell'utente era la principale merce di scambio.

L'era della disinformazione: inizia la diffusione di notizie false e ingigantite

Man mano che la disinformazione si insinuava in Facebook, mi sono reso conto di un'altra significativa trasformazione: la morte degli RSS feed. Un tempo, gli RSS feed erano uno strumento essenziale per restare informati. Potevo abbonarmi alle mie fonti di notizie preferite, ricevendo aggiornamenti in modo cronologico e diretto, senza filtri o modifiche. Era un modo trasparente e controllabile per rimanere aggiornato.

La situazione cambiò radicalmente con Facebook. Gli algoritmi della piattaforma, che controllano il feed in maniera non trasparente, hanno preso il posto dei RSS feed. Questi algoritmi, che rimangono in gran parte un mistero per gli utenti comuni, decidono cosa vediamo e in quale ordine. La natura cronologica e non filtrata degli RSS feed si è persa, sostituita da un sistema che privilegia ciò che è ritenuto più “coinvolgente” – spesso a discapito della veridicità e della rilevanza.

Questa transizione da un consumo di notizie controllato dall'utente a uno gestito da algoritmi opachi ha avuto un impatto notevole. I contenuti che mi venivano mostrati non erano più scelti sulla base dei miei interessi genuini o della loro importanza oggettiva, ma piuttosto su ciò che era più probabile che tenesse me (e gli altri utenti) agganciati alla piattaforma. E, come ho rapidamente scoperto, ciò che è “coinvolgente” non è sempre ciò che è vero o importante.

Questa realtà si è rivelata un terreno fertile per la disinformazione. Storie false e sensazionalistiche si diffondevano con una velocità allarmante, spesso superando in popolarità le notizie accurate e ben ricercate. Ho visto come queste storie fossero in grado di polarizzare le conversazioni, alimentare teorie del complotto e persino influenzare le elezioni. L'effetto complessivo era preoccupante: una distorsione della realtà, dove la verità diventava sempre più sfuggente.

Riflettendo su questo, ho iniziato a rimpiangere i giorni degli RSS feed, quando avevo un controllo più diretto e trasparente sulle informazioni che consumavo. La natura non trasparente e manipolatrice degli algoritmi di Facebook aveva creato un ambiente in cui la disinformazione non solo prosperava, ma era anche incentivata. Questo aveva trasformato la mia esperienza su Facebook in qualcosa di molto diverso da quello che era un tempo, minando la mia fiducia nella piattaforma come fonte di informazione affidabile.

La Camera dell'eco: polarizzazione e rafforzamento delle bolle ideologiche

Nel mezzo di questo mare di disinformazione, un altro fenomeno ha iniziato a emergere, altrettanto insidioso: la Camera dell'eco. Gli algoritmi di Facebook, progettati per mostrare contenuti che ritenessero più interessanti o coinvolgenti per me, hanno finito per rinchiudermi in una bolla ideologica. Non mi rendevo conto, all'inizio, ma stavo vedendo sempre più post che si allineavano alle mie convinzioni preesistenti, mentre le opinioni divergenti o le sfide intellettuali erano rare.

Questa creazione di bolle ideologiche su Facebook ha avuto un impatto significativo sulla polarizzazione. Ho iniziato a notare come i miei amici e conoscenti si raggruppavano in campi opposti, con poco spazio per un dialogo vero. Ogni questione, grande o piccola, diventava un campo di battaglia, con le persone sempre più radicate nelle proprie posizioni. Il terreno comune, che una volta era il fondamento della conversazione su Facebook, sembrava essere scomparso.

Un esempio chiaro di questo fenomeno l'ho vissuto durante le elezioni politiche. I feed di notizie erano saturi di post che rafforzavano un certo punto di vista, ignorando o sminuendo qualsiasi prospettiva alternativa. Questo non solo ha intensificato la polarizzazione, ma ha anche limitato la possibilità di conversazioni costruttive. Il disaccordo non era più visto come una parte naturale del dialogo, ma come un attacco personale, con pochissima tolleranza per le opinioni diverse.

La camera dell'eco su Facebook aveva creato un ambiente in cui era difficile esplorare idee nuove o differenti. Il dialogo, che una volta era nutritivo e arricchente, era diventato un'eco di voci simili, un coro che ripeteva lo stesso ritornello senza sfida o contestazione. Ero diventato parte di un sistema che non solo limitava la mia esposizione a idee diverse, ma rinforzava attivamente le mie credenze preesistenti, contribuendo a una visione del mondo sempre più polarizzata e meno capace di comprendere la complessità.

Narcisismo e prevaricazione: la nuova norma nelle interazioni

Un altro aspetto del deterioramento di Facebook ha iniziato a diventare sempre più evidente: il crescere del narcisismo e della prevaricazione nelle interazioni. Ho notato un cambiamento drastico nel tono e nella natura delle conversazioni. Non erano più scambi genuini o condivisioni di esperienze di vita; invece, sembravano trasformarsi in vetrine per l'autopromozione e lo scontro.

Le conversazioni su Facebook sono diventate sempre più incentrate sul sé. I post che ricevevano più attenzione erano quelli che esaltavano il successo personale, spesso esagerati o addirittura fabbricati. Era come se l'obiettivo principale fosse diventato quello di presentare una versione idealizzata di sé stessi al mondo. Questo ha portato a un'atmosfera in cui l'autenticità era sacrificata sull'altare della percezione pubblica.

Ho anche osservato un aumento degli atteggiamenti prevaricatori. I commenti sotto i post erano spesso pieni di sarcasmo, derisione e, a volte, aggressività aperta. Capitava sempre più spesso su temi di attualità. Invece di un dialogo costruttivo, si trasformavano rapidamente in uno scambio di insulti e affermazioni iperboliche, dove l'obiettivo sembrava essere quello di schiacciare l'altro piuttosto che comprendere diversi punti di vista.

Facebook, in questo contesto, sembrava non solo ospitare ma anche incoraggiare tali comportamenti. Gli algoritmi favorivano i post che generavano più interazioni, indipendentemente dalla loro natura. Ciò significava che i post più polarizzanti, provocatori o autocelebrativi avevano maggiori probabilità di apparire nei feed. La piattaforma, che un tempo era uno spazio per la condivisione e la comprensione reciproca, era diventata un palcoscenico per l'esibizionismo narcisistico e la lotta per la supremazia verbale.

La qualità delle conversazioni aveva subito un netto declino, lasciando poco spazio per scambi autentici e costruttivi.

Violentare il dialogo: l'ascesa del cyberbullismo e della violenza verbale

I commenti sprezzanti e offensivi sono diventati sempre più comuni. Invece di discussioni costruttive, molti post ora si trasformano in campi di battaglia verbali. Io stesso, mio malgrado, ne sono stato vittima e carnefice: i toni sempre più alti e sgradevoli mantengono tutti i partecipanti sulla difensiva e basta pochissimo per far degenerare la conversazione in una battaglia di attacchi personali anziché uno scambio di opinioni.

Queste dinamiche non solo hanno avvelenato l'atmosfera su Facebook, ma hanno anche avuto un impatto significativo sulla salute mentale degli utenti. Io stesso lasciato la piattaforma per un paio di mesi questa estate dopo un episodio spiacevole di scontro o al mio ritorno ho drasticamente ridotto il suo utilizzo.

Questo ambiente tossico ha anche scoraggiato molti utenti dal partecipare a discussioni online. La paura di essere il prossimo bersaglio del cyberbullismo ha creato un'atmosfera di timore e di silenzio. La piattaforma che una volta incoraggiava l'apertura e l'espressione di sé ora sembrava dissuadere le persone dal condividere le loro opinioni, specialmente su argomenti controversi.

L'escalation del cyberbullismo e violenza verbale su Facebook è stata un campanello d'allarme su come la comunicazione online può degenerare. Ha messo in luce la necessità di un ambiente online più sicuro e rispettoso, dove le persone possano esprimersi senza timore di aggressioni verbali o molestie. La triste realtà è che Facebook è diventato un terreno ostile per molti dei suoi utenti, appannaggio a chi si mostra di più o urla più forte.

Verso un futuro decentrato: l'alternativa del Fediverso

Non ho mai frequentato assiduamente né Twitter (ora X) né Instagram (almeno dopo il suo passaggio da piattaforma di condivisione di “fotografi” a quello di social generico), ma generalmente le impressioni che vedo riportate non si discostano molto dalle mie su Facebook.

Non è un mistero che ormai sostengo pubblicamente con forza la necessità di trovare il proprio spazio online su reti decentrate e in questo momento il Fediverso è quello che promette di più.

Guardando indietro al percorso di Facebook, è difficile immaginare che possa fare marcia indietro e tornare a quelle origini più innocenti e focalizzate sulla comunità. Il modello di business che si è sviluppato, basato sulla raccolta di dati e sulla pubblicità mirata, sembra ormai troppo radicato per permettere un vero cambiamento.

In questo scenario, il concetto di social media decentralizzati emerge come una boccata d'aria fresca. Il Fediverso, una rete di server indipendenti che comunicano tra loro, offre un'esperienza social simile ma con una differenza fondamentale: il controllo è nelle mani degli utenti, non di un'entità centrale. Ogni server, o “istanza”, del Fediverso ha le sue regole e le sue politiche, permettendo una maggiore personalizzazione e un'esperienza più intima e sicura.

I vantaggi del Fediverso sono evidenti: maggiore privacy, minor esposizione a logiche commerciali e algoritmi invasivi, e la possibilità di far parte di comunità più piccole e gestite in modo più etico e trasparente. Questo ambiente consente un ritorno a un'interazione più autentica e significativa, dove la qualità prevale sulla quantità.

Invito quindi gli utenti delusi e frustrati dalle dinamiche tossiche di Facebook e di altre piattaforme centralizzate a considerare il Fediverso come una valida alternativa. Non è solo una questione di fuggire dai problemi di Facebook, ma di abbracciare un modello di social media che promuove la salute mentale, il rispetto reciproco e la condivisione autentica.

Il Fediverso non rappresenta solo un'alternativa alle difficoltà incontrate su Facebook, ma segna anche un passo decisivo verso un modello di social media più sano e rispettoso. È una scelta proattiva che riflette un impegno per la qualità delle interazioni online, il rispetto della privacy e una comunità più autentica e responsabile.

Trovo fondamentale supportare e adottare piattaforme che mettano al primo posto il benessere e l'integrità dei loro utenti.


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